Logo Associazione Il Tocco
...::: Motta Filocastro - Il Movimento Separatista

MOTTA FILOCASTRO - IL MOVIMENTO SEPARATISTA DA LIMBADI

Vittorio Emanuele II, primo re dell'Italia unita, morì il 9-1-1878. Gli succedette il figlio Umberto che fu ucciso a Monza il 29-7-1900 per mano dell'anarchico Gaetano Bresci.
Fu sotto il regno di Vittorio Emanuele III, suo suc­cessore, che esplose il « movimento separatista » mottese, che aveva come scopo di ottenere l'autonomia municipale per liberare la frazione dalle ingiustizie degli amministratori limbadesi.
I promotori del movimento, al quale si erano associati anche i cittadini di Mandaradoni e San Nicola, furono dei giovani dotti e appassionati (ci riferiamo agli Ariganello, agli Arena, ai Pupa, ai Lazzaro, ai Teramo, ai Cavallari, ai Lentini, ai Sorbilli, ai Craveli, ai sacerdoti Ragadali e Contartesi) che chiesero ripetutamente alle alte autorità del tempo il giusto provvedimento.
Anche da Buenos Aires, dove si erano trasferiti numerosi cittadini Mottesi in cerca di fortuna, giunsero assensi alla lotta intrapresa nel paese natìo. Ma il movimento di agitazione permanente ebbe poca fortuna.
Solo in seguito, nel 1914, fu permesso il trasferimento dell'Ufficio dello Stato Civile per le frazioni di Motta e Mandaradoni.
L'8 settembre 1922, mentre erano in corso i festeggiamenti in onore della Protettrice, giunse sul posto una Commissione Parlamentare, composta dagli onorevoli Squitti e Aianella, che relazionò a Roma sulla questione.
Purtroppo la rigida interpretazìone del art. 115 della Legge Comunale e Provinciale del 1898 (occorrevano 4000 abitanti per la concessione dell'autonomia) non permise la realizzazione dei sogni dei nostri valenti concittadini.
Trascriviamo per intero una lettera-documento inviata al Prefetto della Provincia di Catanzaro nell'Aprile del 1906 dal Comitato di agitazione permanente.

Signor Prefetto della Provincia di Catanzaro,
II movimento separatista, che da settantasei anni turba la serenità degli animi tra Motta Filocastro e Limbadi, e che oggi assume l'altezza di un avvenimento, ha così profonde radici nella storia dei due luoghi e nei fatti, che invano il governo del Re vorrà adoperarsi a sedarlo. Un tantino di storia in taluni casi fa bene, e la storia delle cause, che produssero tali odi, è la seguente:
Francesco Primo di Napoli fu un gran delinquente, come si assicura, la sua delinquenza era effetto di degenerazione fisica; quindi cominciata dalla culla lo accompagnò alla tomba.
Suo padre, Ferdinando IV, era un mostro, ma nel suo lunghissimo ed infausto regno ebbe momenti di bonarietà. Uno di questi momenti fu la fondazione della colonia di S. Ludo presso Caserta; un altro fu nel 1790, quando Limbadi, borgata di Motta Filocastro, chiese di essere separata da Motta, e Ferdinando ne respinse la domanda.
Quando, nel decennio militare francese, Limbadi tentò di servirsi di un suggello, che portava l'epigrafe « Filocastro e Limbadi », Gioacchino Murat lo proibì. Difatti, che cosa era Limbadi? nel 1783, non contava che 800 abitanti, non aveva acqua potabile, l'aria non era salubre.
Poco tempo prima, il Vescovo della diocesi, eseguendo la santa visita, avea trovato il SS. Sacramento in una finestra. La coltura intellettuale era stata sempre miserrima; nel 1600, un prete non fu abile a numerare i peccati mortali. Un Sacerdote ignorava la grammatica, leggeva molto male e non sapeva i sacramenti della Chiesa: interrogato sugli articoli della fede, rispose che erano ventidue.
Queste condizioni materiali e morali di Limbadi non potevano incoraggiare il governo a prendere in considerazione la domanda dei Limbadesi. Intanto, nobile e generosa, Motta Filocastro, capoluogo del comune, si adoperava al miglioramento di Limbadi: da 800 abitanti la popolazione sali, nel 1829, a 1300 abitanti. L'incremento del popolo migliorò le condizioni dell'aria, migliorando e coltivando i campi: nel 1819, Motta ottenne un decreto del Re, ed i Limbadesi ebbero l'acqua potabile.
Se non che Motta Filocastro nutriva nel suo seno la serpe: Limbadi cospirava contro Motta, quando, nel 1830, spirò un soffio di fortuna, e Limbadi con male arti truffò a Motta Filocastro la sede del comune. Eppure, Motta Filocastro era antichissima, nobilissima, floridissima. Tutto concordava a renderla degna del suo nome.
L'aria montanina è salubre, il sito incantevole, il panorama splendido e seducente per la vista del mare, delle isole Eolie, dei colli ameni e delle pianure fertilissime, l'acqua pura. Avea un sedile o Tocco di nobiltà, e i più vecchi ricordano ancora, che sul Tocco si leggevano le onorate parole « Soli Deo, senatui, populoque romano subiecti ».
Era casello rinomato dei mezzi tempi, circonvallata e circondata di 12 torri, onde i notabili vi si rifuggiarono contro le irruzioni saracene, e diventò patria di famiglie aristocratiche.
Tre parroci, sette chiese, e due conventi, indicano che nei tempi andati la città era cospicua: uomini dotti la onorarono, uomini illustri vi furono sepolti: fu sede di un protopapa e dimora di più Vescovi della diocesi di Nicotera, che, per i pregi del luogo, ivi passavano diversi mesi dell'anno; infatti, in detta terra, a 28 agosto 1656 morì il Vescovo Èrcole Coppola gallipolitano. Perde l'autonomia ed il lustro, perde il decoro e divenne serva del suo casale, Limbadi, che la tenne per sua schiava, l'oppresse e la sgovernò. In 75 anni Motta pagò al comune centinaia di migliaia di lire, ma queste servirono sempre pel capoluogo.
Non una strada, non il restauro di un monumento, non illuminata nella notte, non ispazzate le vie interne, non medico, non levatrice, non regolato il pubblico orologio, non pubblica istruzione, perché queste tre ultime cose sono un nome, una menzogna, una derisione.
Nulla paga i centesimi addizionali del suo vastissimo territorio sezionato alla lettera ci paga diverse centinaia di lire di censo perpetuo al comune su fondi, che pria erano di proprietà del comune di Motta, paga il dazio di consumo, paga enorme tassa focatica, paga l'aria che respira, l'acqua che beve, le aurette soavi che la rinfrescano netta estate paga, paga, paga per migliorare Limbadi, e per mantenere il lusso a diverse famiglie. E Limbadi avesse almeno pietà di Motta, a Limbadi ispirassero rispetto la prosperità perduta, la religione dei secoli, le mine venerande!
No: Limbadi teme che Motta risorga, e la schiaccia e l'avvilisce e la minaccia in ispecie per i firmatarii dei ricorsi, e ne rende più penosa l'esistenza.
Con spavalderia provocante dice che Motta deve sopportare il giogo voglia o non voglia, che Motta nulla otterrà, perché Limbadi ha il potere in mano e propone e dispone a dispetto di Motta; che i Limbadesi, nelle cui mani trovasi l'amministrazione comunale, hanno dell'influenze dappertutto, e presso Deputati e presso il Consiglio Provinicale e presso impiegati governativi. Ma Motta Filocastro e le due frazioni di Mandaradoni e S. Nicola, che le fanno corona ed eco, non si sgomentano delle spavalderie limbadesi, ma insistono, pregano, supplicano l'Onorevole Consiglio Provinciale ed il Governo del Re, affinchè venga resa giustizia, e così, con l'opportuno e bramato provvedimento si faccia intendere al pubblico che la giustizia del Governo Italico non s'impensierisce, né piega al vento delle protezioni invereconde! Che più? Limbadi non ha neppure rispetto per i morti mottesi; basta citare testualmente due casi di morte avvenuti tempo fa, l'uno in persona di una figliuola di Pietro Teramo, la quale per i soliti volgari capricci contro Motta fu tenuta in Chiesa per ben sette giorni, l'altro in persona di Patrizia Mazzeo, giovinetta, diciassettenne; morta di tubercolosi polmonare, e lasciata insepolta in Chiesa per ben sei giorni, con quanto pericolo alla salute pubblica, ognuno può conoscere.
Sono questi fatti noti a tutto il pubblico: costumi barbari in tempi civili! Dippiù si ricordano le minacce fatte in pubblico consiglio, a 28 ottobre ultimo scorso, ai cinque consiglieri di Motta Filocastro, sol perché questi si opposero giustamente a votare contro una proposta finanziaria fatta a benefizio di Limbadi ed a danno delle borgate.
E nell'ultima seduta consiliare del 22 marzo ultimo scorso i consiglieri mottesi sono stati in Limbadi minacciati per sino a mano armata da una ciurmaglia di uomini e donne; una semplice inchiesta proverebbe tutto questo.
Non vi è caso, in cui Limbadi non avversi e non oltraggi Motta. Decresce l'istruzione, e Limbadi non vi fa andare in maestro di scuola; si disselciano le vie dell'abitato, e Limbadi non vi mette una pietra; sono luride le strade, e Limbadi non vi costruisce un corso lucido; è buia nella notte come la gola di un lupo, e Limbadi non accende un fanale; vanno al consiglio i poveri consiglieri mottesi, e Limbadi li minaccia in consiglio e fuori.
L'ala del tempo demolisce lentamente il Tocco, che per Motta fu Foro, fu Curia, fu Areopago, e Limbadi lo lascia demolire.
Limbadi spera che Motta dimentichi la sua storia, che nulla resti, che possa attestare e ricordare la prosperità di un passato, che non è remoto, e calca il piede, avvilisce, oltraggia, percuote, distrugge.
L'amministrazione, pochi anni or sono, lastrica le vie di Limbadi e vi costruisce una fontana monumentale, colloca ivi numerosissimi fanali, senza deliberato consiliare: le frazioni ricorsero per tanta dispotica illegalità alla Prefettura: arriva in fine un ingegnere del genio Civile, che trova tutto fatto e compiuto: la maggioranza consiliare tutta limbadese si unisce e ripara........
L'amministrazione spende, mesi or sono, centinaia di lire pel catasto, ed il Consiglio sa nulla, mottesi e limbadesi litigano in Conciliazione, ed il mottese è sempre condannato! Vanno i mottesi a nozze in Limbadi, e i limbadesi li trattano con i modi più spregevoli.
Motta chiede una ricevitoria postale, come si vede nei più piccoli ed umili villaggi del Circondario monteleonese, ma Limbadi prepotentemente si oppone con false relazioni, e la domanda è respinta.
Ai mottesi si nega il sepolcro: i cadaveri rimangono ad imputridire: cinque chilometri separano Motta dal cimitero di Limbadi, e Limbadi non costruisce un cimitero per Motta.
In questa condizione di cose, fra tanto servaggio, tanto danno, tanta vergogna, cresce l'odio che non è di clas­se, ma di abitato contro abitato, e quale possono essere gli effetti, è incerto! Spartaco fu vinto, ma la guerra servile durò per generazioni intere! A scongiurare le conseguenze disastrose di tante cause, noi sottoscritti, interpetri di tutti i Mottesi e delle frazioni di Mandaradoni e S. Nicola abbiamo domandato e domandiamo al Governo, che ci separi da Limbadi, ci accordi l'autonomia, ed estingua, così, l'odio che ci predomina.
Cessata la causa, cesseranno gli effetti. Giusti diceva degli Austriaci: « ripassin le Alpi e tornerem fratelli ».
Motta Filocastro, aprile 1906.
(Tratto dal libro "MOTTA FILOCASTRO" di Giuseppe Ingegneri)
Associazione Culturale Il Tocco - Via Castello, 35 - 89844 Motta Filocastro (Vibo Valentia)
C.F. 96019260791 - C/C Postale 68036078 - email: posta@iltocco.info
recapiti telefonici: 329.7296739 - 328.3022997 - 338.8894385
copyright anno 2013